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Un uomo chiamato cavallo

Aperto da alex, Novembre 15, 2015, 05:11:45 PM

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alex

Avete visto il film vero? Se la memoria non mi tradisce, c'è una scena, quella della iniziazione, che voglio ricordarvi. L'iniziazione ha il suo culmine in una "prova di coraggio" studiata per provocare un terribile dolore senza gravi danni. Ebbene: non so se con un atto di fantasia o su basi più solide, il protagonista, in quel momento drammatico, subisce una violenta alterazione dello stato di coscienza; sprofonda in una specie di stato onirico. La sua mente sopraffatta dal dolore fugge via dalla realtà.

Che c'entra questo con l'etologia del cavallo? Io immagino che quando un cavallo avverte il segnale "E' finita. Sei morto", di cui abbiamo accennato nel topico sul Join Up, succeda qualcosa del genere. Lo immagino, e lo spero; non la disperazione (gli animali non vivono il futuro, probabilmente ignorano la speranza e quindi anche la fine della speranza, ossia la disperazione) e non la rassegnazione; semplicemente un alterato stato di coscienza, un "distacco". Forse il messaggio che ricevono non  è "E' finita. Sei morto", ma piuttosto "Rilassati, è venuto il tempo di riposare".

La nuda Verità è una donna difficile da amare. L'illusione invece è una donna seducente, amorevole, a cui è facilissimo restare fedeli.

segreto

Citazione da: alex - Novembre 15, 2015, 05:11:45 PM
... gli animali non vivono il futuro, probabilmente ignorano la speranza e quindi anche la fine della speranza, ossia la disperazione...

Perchè non dovrebbero vivere il futuro e provare la speranza? Se non la provassero non manifesterebbero la gioia o l'eccitazione che gli vedi esibire quando l'evento "sperato" si avvicina.
Mio nonno era la persona più buona del mondo ma credeva che gli animali non sentissero dolore. Erano in molti, una volta a crederlo. Alcuni lo credono anche oggi.
La tua frase mi fa lo stesso effetto di quella del nonno.
La percepisco datata e destinata, nel tempo, ad essere smentita.
Non sono di quelli che umanizzano gli animali, ma l'esperienza mi insegna che le differenze sono poche, e di solito limitate alla mancanza di un organo (leggi "settore del cervello") a ciò preposto.
In quale angolino, che noi abbiamo e loro non hanno, sta la speranza? E il senso del futuro?

Segreto

Bubba

Io lo spero, ma dubito.
Se per il cavallo fosse un' esperienza rilassante o leggera non lo cbierebbe profondamente.
Invece dopo esser stato messo giu' il cavallo e' domato/ rotto.

Io credo che abbiano il senso della fine. Nel senso, non come pensiero ma come sensazione. Un macellaio almeno ha detto cosi', che sanno perche' sono li'. Certo al macello c' e' il sangue ecc
Pero' cani ed elefanti riconoscono la morte. Non la immaginano ma quando la vedono la riconoscono ( negli altri, per lo meno).
Secondo me pure i cavalli.
Ed essere stesi e' una punizione sufficientemente dura da ricondurre alla ragione il piu' cocciuto.
Ma non si fa mai, se non in casi particolari.
Nel dubbio il mio lato lallista vorrebbe accogliere la teoria del rilassamento
Ma poi ricordo l' articolo e una frase di un addestratore nostrano che, inconsapevolmente, ha usato proprio lo stesso concetto parlando di una bestiola ribelle.
Cambiano. Cambiano in fretta e in modo duraturo. Qualsiasi cosa abbiano provato li ha convinti a non rifarlo.

silviasco

Di là ho postato un'altra possibile spiegazione dell'efficacia dell'atterraggio. Ripensandoci ho realizzato che la fonte è "l'uomo che sussurrava ai cavalli", il libro, non ricordo se la cosa era riportata anche nel film; quindi è una fonte poco attendibile, ma vabbè non so se è stata ripresa da qualcun altro più autorevole, e comunque mi sembra comunque in tema in questo topic   :horse-wink:
Dunque il protagonista ad un certo punto decide di atterrare questo cavallo che è divenuto tremendo, pericoloso, perché traumatizzato da un incidente e dalle cure postume. La padrona non vorrebbe, ma lui le spiega che essere messo a terra, con l'uomo che gli sale addirittura sopra, è la cosa più terribile che possa accadergli; e però, quando succede, di fatto non succede nient'altro di brutto. Non viene mangiato, non viene picchiato, non sente niente di male ma anzi riceve rassicurazione, coccole.
Passato il momento di paura, capisce che del suo addestratore può fidarsi: perché poteva divorarlo, ma non l'ha fatto. Di conseguenza, cambia il suo atteggiamento non solo perché comprende che l'uomo è più forte, o perché ha paura di venire atterrato di nuovo, ma proprio perché smette di avere una paura fobica di qualcosa di tremendo che potrebbe venire dall'uomo. Inizia a fidarsi.
Al di là della fonte molto discutibile, questo discorso mi suona sensato perché mi fa venire in mente una strategia che si usa per vincere gli attacchi di panico umani: si chiede al paziente di mettersi volontariamente nella situazione fobica per rendersi conto che tutto sommato così terribile non è, certo non basta una volta sola perché il nostro cervello è bello complicato, ma il succo è quello.

The Shire

Citazione da: alex - Novembre 15, 2015, 05:11:45 PM
gli animali non vivono il futuro
Anch'io la penso così, secondo me gli animali vivono il presente, perché (in natura questo almeno) ogni giorno per loro è una sfida contro la sopravvivenza, quindi non stanno lì a chiedersi "che farò domani?" ma tengono conto dell'immediato presente. Questo ragionamento c'era anche negli uomini preistorici, ma non mi sembra che non abbiano avuto speranza. Vivono il momento, mentre il futuro è un'incognita. Ora non ho idea se questo ragionamento persista nei cavalli d'oggi ma credo che il non pensare al futuro non faccia perdere speranza, forse dà un po' più di spirito d'iniziativa, ma semplicemente questo pensiero passa in secondo piano, non so se mi spiego.