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Corte (equitazione di)

Aperto da mimmo77, Settembre 05, 2021, 08:01:33 AM

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mimmo77

Equitazione classica, equitazione accademica, dressage tutti capiamo più o meno di cosa si tratta, sappiamo anche che questo tipo di equitazione è nata in Itaglia nel Rinascimento e, in seguito, si è incrementata specialmente in Francia.
Già, ma come la chiamavano, a quei tempi, i cavallerizzi che praticavano l'equitazione "classica".
Certo, usavano già maneggiare ed equitare per indicare, in linea generica, la pratica equestre.
Ma come definivano la loro equitazione accademica ma sopratutto perché la praticavano?

A questo proposito abbiamo Le Manege Royale di messer Pluvinello, il quale ci spiega che il cavallerizzo era sopratuto un cortigiano o - se preferite - il cortigiano doveva essere un provetto cavallerizzo oltre che a praticare la danza, la musica, la filosofia, la politica, esser padrone dei minuziosi formalismi delle buone maniere e, naturalmente, padroneggiare l'uso delle armi.
Cortigiano/cortigiana, allora non aveva alcun significato spregiativo indicava semplicemente una persona di corte da cui cortese, appunto.

Dunque, l'equitazione superiore, raffinata era nomata Equitazione di Corte o anche Arte Equestre.
Quest'arte non si limitava al ben cavalcare ma era complementare ad una serie di attività che coinvolgevano il lallo erano in gran voga:  i caroselli, le sfilate, le fole, i tornei fatti con armi "cortesi", cioè di legno o con punte e lame smussate

Perché facevano tutto questo?
Quali erano le motivazioni che spingevano quei personaggi a frequentare le "accademie"?
A passare ore giornalmente ad allenarsi alla quintana, alla corsa all'anello, al rompre en lice (spezzare la lancia), alla singolar tenzone, ecc. tutte pratiche che si facevano a cavallo?

E' lo stesso Pluvinel che ci spiega il perché di tanto impegno di tempo, di denaro, di intelligenze e di strutture:
... mi sembra che le dame possano ora onorare con la loro presenza più assidua queste manifestazioni anche perché, quando hanno inizio i giochi, i partecipanti possono entrare nelle carrozze delle più belle dame, col loro permesso, senza ritardare lo spettacolo.
I cavalieri possono passeggiare in carrozza con quelle splendide fanciulle ovunque esse abbiano piacere, conversando al loro felice cuore. E quando una novella sposa o una giovane dama, ha consegnato l'anello della contesa a un cavaliere partecipante alla gara, egli dedica la corsa a questa dama, alla quale promette il suo cuore e tutta la sua dedizione.
E se il cavaliere esce vincente dalla corsa, riceve grande onore, ovazione e piacere dal pubblico che lo acclama, il tutto davanti agli occhi ammirati della sua bella.
Questo è uno dei motivi, Sire, che spiega il perché i cavalieri amano partecipare ai tornei.


Inoltre,


... fatti non fummo per "viver el noble bruto" ma per condivider virtute et cagnoscenza...

mimmo77

#1
... questo fenomeno, non è altro che la "depravazione" della la singolar tenzone nella quale i cavalieri medioevali rischiavano la vita o - nella migliore delle ipotesi in caso di sconfitta - perdevano le armi, il cavallo e la libertà.

Ora, va bene attirare l'attenzione delle donne, ma questo non bastava, si inflissero ai lalli tutta una serie di rituali, di minuzie, di piccole e grandi torture, affinché il cavaliere potesse raggiungere gli ideali di bellezza, fierezza, eleganza del mitologico e romantico uomo a cavallo.

A questo proposito, il maestro francese dice una frase che spiega questo secondo aspetto del perché tanti gentilhuomini diventano cavalieri:
... non solo perché essi dedicano questi eventi alla bellezza e all'amore di una dama, ma anche per il fatto che un uomo bello ed elegante in cima ad uno splendido cavallo, è la più bella e la più perfetta delle figure dell'umanità che Dio ha creato sulla terra, con le sole eccezioni di Marte e Venere, che Vulcano mise sotto la protezione degli dei...


Insomma, diciamola tutta: il dressage, l'equitazione accademica, l'alta scuola equestre è nata pavoneggiarsi e per cuccare, per scopare, per conquistare nobili focosissime dame e aristocratiche disponibilissime damigelle.

Ecco, questa era la situazione quando - nel secolo XVIII - ci si accorse che il re aveva cavalli, aveva cavalieri ma non aveva cavalleria... da quì la famosa boutade del marchese de Castries:
« sans équitation on n'a pas de cavalerie, avec trop d'équitation on n'en a pas davantage » che significa: non c'è cavalleria senza equitazione, ma nemmeno con troppa equitazione.

Dunque, a quel tempo, è nata la convinzione che il buon cavaliere deve essere anche un bel cavaliere concetto talmente radicato che è giunto fino a noi.
Ma che contrasta con l'evidenza, infatti,  già nel 1772, il generale de Guibert si esprimeva così:
... da quattromila anni si monta con principi differenti dai nostri; gli sciti, gli antichi numidi, gli attuali berberi, turchi e tutti i popoli che il destino ha fatto "nascere cavalieri", sono seduti sui loro cavalli in maniera differente dalla nostra, le cavallerie del Marocco e dell'Algeria, hanno selle più piccole e leggere delle nostre con staffe larghe e attaccate corte; galoppano col busto in avanti, le ginocchia alte, le gambe attaccate in maniera che i talloni si appoggino leggermente ai fianchi... .


... fatti non fummo per "viver el noble bruto" ma per condivider virtute et cagnoscenza...