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Uomo di cavalli.

Aperto da raffaele de martinis, Gennaio 25, 2022, 10:33:17 AM

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raffaele de martinis

Da Xenophon, a L'Hotte, a Tesio, a don Raffaé (mio nonno, carrettiere nell'agro nolano fino ai primi anni 50 del s.s.), il rapporto... oggi diremmo la relazione, col proprio cavallo si fondava sopratutto sul rispetto.
Infatti, la vecchia cultura era basata sull'arte di utilizzare al meglio quest'animale.

Il cavallo aveva una posizione privilegiata nella società umana, sia per il suo utilizzo che per la sua connaturata carica simbolica che lo rimanda - da sempre - ad una immagine fantastica di essere superiore; la sua condizione era ed è particolarissima nella società umana e non ha alcun riscontro con altri animali.

Alla voce "uomo di cavalli", le maître de manège Jules Pellier, nel 1900, così scriveva: si può essere un famoso cavallerizzo, un esperto ufficiale di cavalleria, un abile fantino, un allevatore fortunato e un cocchiere molto bravo, ma, anche riunendo tutte queste qualità in una sola persona, non la si può definire "uomo di cavalli" se le mancasse il tatto equestre.

Qualità che il citato autore così definisce: delicatezza e correttezza con la quale il cavaliere si serve degli aiuti e impiega i mezzi per maneggiare e governare il suo cavallo.

Allora si capiva l'importanza di quest'animale e - saggiamente - si cercava di conservarlo in buona salute psicofisica il più a lungo possibile.

Ovviamente, in tutti i tempi e in ogni luogo, son esistiti ed esistono persone che per sete di guadagno, o, per sciocco esibizionismo rovinavano/rovinano il loro cavalli.
Ma queste, non sono cavalieri, tanto meno uomini di cavalli, sono degli emeritii fallocefali.
... "il culo nella carriola e le gambe avanti"...