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I sussurratori e Freud: la psicanalisi della leadership

Aperto da Nicola, Maggio 29, 2012, 04:42:22 PM

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Nicola

So che il titolo è provocatorio, ma ritengo che sia comunque utile.

Molti sussurratori vivono con usa sorta di ansia compulsiva il problema della leadership (soprattutto se detti sussurratori sono dotati di baffi copiosi).

In sostanza i loro metodi si basano sul principio per il quale l'affermazione incondizionata della propria leadership sia l'unico e fondamentale prerequisito per svolgere una qualsiasi attività, od addirittura per costruire una qualsiasi relazione, con il cavallo.

In pratica sembra che qualsiasi interazione con l'equino debba prevedere una definizione di ruoli fissi e fortemente gerarchizzati.

L'idea che ne ricavo è la seguente: molto, in queste teorie, affonda le radici in un profondo timore del cavallo, una vera e propria paura, che viene esorcizzata (e siamo a Freud) costruendosi il ruolo di leader.

Riducendo ai minimi termini: se tu hai più paura di me di quanto io ne nutra nei tuoi confronti, io sarò al sicuro.

Ora, senza equivoci, io sono un estimatore della sicurezza, convinto della fondamentale verità dell'assioma de l'Hotte, ma non ritengo che la nostra capacità di imporre al cavallo la nostra volontà debba coprire il 100% della nostra relazione con gli equini, altrimenti dovrei desumere che il mio comportamento diventa uno "stereotipo" con connotazioni patologiche.

Io ad esempio temo le vespe (brutte esperienze passate) e mi accorgo che ogni interazione con esse per me diventa un disperato tentativo di affermare la mia supremazia. Ma è un mio problema, non certamente un problema delle vespe.

Voi cosa ne pensate?
Tu sarai pure Bob Loomis ma io non sono nato ieri

Falsum saepe vero suavius est

Miky Estancia

Interessante osservazione Nicola.

Non so se sia dovuto ai baffi o meno  :firuu:, ma ho notato anche io che per certe persone, il concetto di essere al vertice della gerarchia, è legato più al timore per il cavallo in sè più che a un vero riscontro del fatto che se assumi la posizione di capo, sarai capito e rispettato molto di più dal tuo equino.

Ho visto lavorare dal vivo alcuni nomi famosi e devo dire, che è vero, si vedeva lontano 100 km che avevano paura del cavallo.

Ora, a mio avviso, avere paura è normale, fa parte del nostro istinto di conservazione, avere paura non è da condannare, la paura rende prudenti e di troppa prudenza in genere non si muore. Forse, ammettere di avere paura, per alcuni è un problema e allora si attribuiscono altre valenze alle posizioni gerarchiche da ricoprire.

Di fatto, un capobranco fifone non ha vita lunga. Se cerchiamo di diventare un capo per il nostro cavallo e continuiamo ad avere paura, verremo sgamati in brevissimo tempo e addio vertice gerarchico. Quello su cui bisogna lavorare, è sul proprio equilibrio: avere paura è sano, normale, averne troppa o ingiustificata, no. Imparare a dominarsi sia mentalmente che fisicamente, ammettere i propri limiti, evitare di seguire schemi che non si confanno al nostro modo di essere, cercare una relazione sana col nostro cavallo.
La cosa che tollero meno al mondo, anche meno dell'ignoranza, è la maleducazione. Perché se avere il cervello piccolo è una disgrazia, essere cafoni è una scelta. A.P.

Nicola

Grazie del tuo intervento.

La domanda a questo punto è questa: ma è davvero SEMPRE necessario rapportarsi con il cavallo in termini di gerarchia?

L'etologia, "scienza" di cui qui si dovrebbe parlare, parla di gerarchie tra equini che sono molto variabili, ed i cavalli, visti in branco, non paiono vivere 24 ore al giorno per ridefinire i propri rapporti gerarchici; ed in effetti......saicheppalle! :horse-wink:

E perchè noi dovremmo vivere ogni interazione con loro stabilendo chi comanda?

Io quando mi siedo in paddock a vederli brucare, mica mi aspetto di essere "reverenzialmente temuto".

Tu sarai pure Bob Loomis ma io non sono nato ieri

Falsum saepe vero suavius est

Miky Estancia

Per rispondere alla tua domanda, non so come la pensino i praticanti dei vari metodi, e sarebbe interessante avere le loro risposte, in compenso so come la penso io per il metodo che aplichiamo noi.

I cavalli non paiono vivere tutto il giorno per stabilire i ruoli, è vero, ma in alcuni casi succede.
Porto come esempio i miei due pony, Bibì e Geronimo, uno maschio intero, l'altro castrone, vivono insieme da circa 10 anni giorno e notte liberi in paddok. Tutti i giorni e più volte al giorno si azzuffano per stabilire la gerarchia. Osservandoli meglio, si nota che si arriva alla zuffa dopo una miriade di micro segnali che se non li si sa riconoscere, passano inosservati.

Per quanto attiene al nostro metodo addestrativo, il nostro obiettivo non è quello di essere reverenzialmente temuti, in quanto in natura il capo branco non viene temuto, ma solo rispettato. Nessun sottoposto teme, ha paura del capo. Il capo è cosa buona perchè dà sicurezza. Il capo è fermo e giusto. E noi incentriamo il nostro lavoro su questo. Essere fermi e giusti, un vero punto di riferimento positivo per i nostri cavalli. Colui che si fa temere dal proprio cavallo, di solito ne ha paura e non riesce ad essere nè fermo nè giusto poichè traduce in aggressività i propri timori.

Il nostro metodo prevede l'acquisizione di un modo di pensare e muoversi che ci faccia riconoscere dai cavalli come soggetti dominanti e quindi dei buoni capi. Bastano dei piccoli segnali e non c'è bisogno di ribadire sempre gli stessi concetti o di arrivare allo scontro, a meno che non ci siano soggetti particolarmente "tosti" o in caso di nostro errore nel modo di porsi.

Perchè rapportarsi in questo modo? Perchè dopo anni di esperienza, i fatti ci hanno dimostrato che in questo modo otteniamo molto di più, più velocemente, con più sicurezza.

La cosa che tollero meno al mondo, anche meno dell'ignoranza, è la maleducazione. Perché se avere il cervello piccolo è una disgrazia, essere cafoni è una scelta. A.P.

Nicola

Non so...

La mia cavalla vive in branco da 4 anni, in gruppi più o meno numerosi, fino a 6 in un ettaro e mezzo, e passando svariate ore in osservazione, non ho l'impressione che l'ordinarietà sia incentrata sulla definizione di ruoli.

Si riaffermano solo nei momenti di necessità (tipicamente momenti legati al cibo, all'acqua, alla condivisione di spazi angusti)
Tu sarai pure Bob Loomis ma io non sono nato ieri

Falsum saepe vero suavius est

Midnight

E in quali altri momenti dovrebbero ristabilire la leadership?
Parlo degli animali in genere.

Nei branchi in generale, è proprio l'accesso alle risorse che ti fa notare chi è il capo e chi i sottoposti.
Nella vita normale di branco non succede.

Ora al di là delle tecniche che uno segue o meno, mi sembra piuttosto palese che anche nei branchi non si cerchi di stabilire h 24 la propria dominanza.
Your horse is a mirror of your soul.
Sometimes you might not like what you see... sometimes you will.

Nicola

Citazione da: Midnight - Maggio 29, 2012, 07:19:04 PM
mi sembra piuttosto palese che anche nei branchi non si cerchi di stabilire h 24 la propria dominanza.

Giustappunto, ed allora perchè ci sono scuole di "horsmanship" che non contemplano nemmeno l'idea di rapportarsi, magari in circostanze che non prevedano una sessione addestrativa, in maniera non gerarchizzata?
Tu sarai pure Bob Loomis ma io non sono nato ieri

Falsum saepe vero suavius est

Midnight

Ah ok.. ora mi è più chiara la domanda.

Nonostante la domanda sia più chiara, in effetti, non so risponderti :)
Non conosco questo tipo di tecniche.
Your horse is a mirror of your soul.
Sometimes you might not like what you see... sometimes you will.

bionda

Secondo me i sussurratori con il pallino della leadership sono stati traumatizzati da piccoli da un'educazione troppo repressiva che impedisce loro di immaginare rapporti diversi da quelli incentrati sulla gerarchia. Proiettano sui cavalli i loro problemi con mamma e papà.

Ok, anche il rapporto di molti equitanti con i rispettivi istruttori è evidente frutto di traumi infantili  :happy_birthday-736:

Andando a logica un erbivoro non può "ragionare" in questi termini proprio per niente. I cavalli sono tanto portati ad imparare qualsiasi cosa, e forse gli si può insegnare anche il senso della gerarchia, ma resta una forzatura.

Un branco di erbivori non ha bisogno di organizzarsi per procacciarsi il cibo, e non ha bisogno di spartirselo. Il cibo se ne sta equamente distribuito ovunque sotto ai loro piedi. Ogni individuo deve solo abbassare la testa e fare "ciomp ciomp" per mangiare, non deve chiedere permesso a nessuno. Stare in branco per il cavallo significa solamente non allontanarsi troppo dai suoi simili. Non possono esistere altre "dinamiche" (salvo qualche bisticcio per gli accoppiamenti), non avrebbero ragione di essere.

I sussurratori umanizzano alla grande il cavallo, proiettano dei loro problemi che il cavallo non ha e non può capire, salvo che gli vengano insegnati a bastonate ...o a "scomodità".
"Entschuldige, mein Tier, ich werde schon noch dahinterkommen"
Udo Bürger
"Scusami, mio animale, prima o poi ci arriverò"

alex

Tema molto interessante!

Scusatemi se in questo forum è stato già detto, in questo caso saltate a piè pari; ma nelle scorribande di anni fa sul web ho raggiunto le seguenti conclusioni sulla leadership e sulle sue ricadute sullo stile di relazione con il cavallo:

1. gran parte dell'equitazione di tutti i tempi (quella insegnata) si basa su un'idea di leadership "classica", quella gerarchica imposta; qualcuno ha teorizzato una assai dubbia "naturalità" di questo approccio, su base "etologica", ma a ben vedere nei rapporti fra cavalli liberi di questo modello di leadeship ce n'è pochina, tanto poca da far sorgere grossi dubbi sul fatto che si possa chiamarla "naturale", e io mai più chiamerò naturale questo tipo di rapporto con il cavallo;
2. Mark Rashid ha sottolineato un'altro tipo di leadership, la leadership passiva, chiamata anche "elettiva"; sarebbe quella ipotetica leadeship della vecchia e tranquilla cavalla capobranco esperta, la quale non impone nulla, è autorevole invece che autoritaria, e questa autorevolezza le viene riconosciuta senza conflitti, per scelta libera da parte degli altri cavalli. Teoria affascinante ma anche questa regge poco all'analisi etologica, che dimostra che questo tipo di leadership migra continuamente da un cavallo all'altro, a seconda delle situazioni; in ogni caso, è il metodo che usano gli uomini di cavalli che non gridano mai, che non gesticolano, che fanno tutto con estrema tranquillità e pazienza, che puniscono rarissimamente; il "old man" di Rashid, appunto.
3. Messa in dubbio l'importanza etologica della leadership gerarchica classica, e pure la leadership passiva, esiste un terzo modello di rapporto fra cavalli: questo sì, concreto, evidente, estremamente appagante per l'equino, talora fortissimo. E' quello dell'amicizia, dell'attaccamento personale fra cavallo e cavallo, che fa sì che liberato in un grande pascolo, con decine di cavalli liberi, un cavallo si diriga immediatamente verso uno e non altri, si salutino, stiano a lungo insieme. Ebbene, esiste un metodo di addestramento basato su questo modello di relazione naturale, si chiama friendship training, o almeno l'ha chiamato così il suo "inventore" Chuck Minzlaff. Il sito: http://friendshiptraining.org/

La mia impressione? che abbiano ragione un po' tutti.... secondo i casi e secondo gli obiettivi che si vogliono ottenere. Se si vuole ottenere un cavallo che lasciato con le redini a terra stia fermo per due giorni sul posto.... o che obbedisca sempre, automaticamente, istantaneamente a qualsiasi ordine... occorre qualcosa di veramente forte; occorre qualcosa di più che il friendship training.
La nuda Verità è una donna difficile da amare. L'illusione invece è una donna seducente, amorevole, a cui è facilissimo restare fedeli.

Midnight

Bionda, a volte leggerti è ... non so, disarmante :dontknow:

Comunque interessanti spunti di riflessione sull'argomento.
Your horse is a mirror of your soul.
Sometimes you might not like what you see... sometimes you will.

PokerFace

allora io faccio una domanda.
le persone non sono cavalli.
perchè per relazionarci con i cavalli dovremmo entrare nelle dinamiche da cavalli?
un cavallo interagisce anche con una capretta o con un cane o con una mucca.
eppure la mucca, la capretta e il cane non cercano di parlare da cavallo nè di entrare in dinamiche di leadership tipiche dei branchi di cavalli.
siamo sicuri che non si possa interagire coi cavalli facendo semplicemente le persone, muovendoci da persone, rapportandoci come una persona di rapporta con un animale qualsiasi?
io sono convinto che i cavalli sanno benissimo che siamo persone e non cavalli. loro non cavallizzano gli umani come noi umanizziamo loro. credo in verità che non si sognino di pensarci capo branchi o leader o subalterni, semplicemente perchè non siamo cavalli, siamo un'altra cosa, persone.
hanno quindi con noi una relazione diversa, non paragonabile con quella che hanno con i loro simili.
non migliore nè peggiore.
ma diversa.
ostinarci a voler creare un branco con il nostro cavallo e delle relazioni "equine" con lui secondo me è una forzatura.
i cavalli ci trattano per quello che siamo.

Nicola

Grazie per gli interventi, e grazie Alex. Il discorso mi pare centrato.

Al di là del "wording" e del fatto che le logiche di branco negli equini paiono molto più complesse di quanto bionda ritenga, con lei sono d'accordo sul fatto che, inconsciamente, l'umanizzazione del cavallo sia assolutamente diffusa anche tra quegli "horsemen" che sostengono di comunicare con i cavalli in maniera coerente con il loro linguaggio.

Ora, il tema che vorrei affrontare è questo: mi chiedo perchè certi metodi basino il 100% delle loro attività sull'affermazione della leadership.

Per questo mi veniva in mente Freud: la ripetizione di un rituale ossessivo (il pensiero magico) di riaffermazione del proprio "potere" sembra rispondere all'esigenza di chi compie il rituale, molto più che un'attività a favore del soggetto gregario (che dovrebbe essere il cavallo, secondo questa logica). Ed allora il cavallo diventa oggetto di proiezione, e non soggetto con cui interagire.

Sbaglio?
Tu sarai pure Bob Loomis ma io non sono nato ieri

Falsum saepe vero suavius est

alex

Mi pare che non sbagli. Di certo non sbaglia nemmeno PokerFace, quando afferma che un cavallo normale non ci vedrà mai come cavalli. Per farlo dovrebbe essere un cavallo psicopatico. Forse non è impossibile ottenerlo (le paperelle di Konrad Lorentz, imprintate dal momento della schiusa, forse "vedevano" Lorentz come un'oca mamma, la Lorentz stesso afferma con dispiacere che le aveva rese paperelle anormali, psicopatiche).

Tuttavia, è ugualmente riflettere (ma bene, però...) sui modelli innati di reazione del cavallo con l'ambiente esterno: oggetti inanimati, animali di altre specie, animali della stessa specie. Dentro quei modelli di reazione esistono anche tutti i vari meccanismi per l'apprendimento, e nel rapporto con il cavallo noi abbiamo un interesse immenso per capire bene questi meccanismi. Per questo è importante il discorso sui modelli veramente esistenti di relazione e quindi di apprendimento.

I discorsi che sento fare talora sull'addestramento "etologico" di scienza etologica ne contengono poca; è uno dei tanti casi di approccio pseudoscientifico - si utilizzano a sproposito brandelli di scienza senza utilizzare il metodo scientifico. L'equitazione e l'ippologia sono strapieni di esempi di questa pseudoscienza; ne parleremo.

In pratica, anche se una teoria di addestramento, uno "stile", dichiarano la propria scientificità  ad minchiam, però funzionano e in un modo o nell'altro, con meccanismi del tutto diversi da quelli dichiarati, ottengono il risultato di migliorare radicalmente il rapporto fra cavaliere e cavallo.... chissenefrega se sono poco "scientifici"?  :horse-wink:
La nuda Verità è una donna difficile da amare. L'illusione invece è una donna seducente, amorevole, a cui è facilissimo restare fedeli.

Nicola

In effetti.....

In sostanza la mia personale ricerca, attualmente, è quella di comprendere come certi comportamenti umani, nei confronti degli equini, siano in effetti utili all'ego umano, e tendano, addirittura a divenire controproducenti per l'equino.

Stabilito che "tendenzialmente" il cavallo è oggetto di nostre proiezioni, anche non coscienti, quanto di questo condizionamento diventa controproducente?

Non ho affatto la risposta, sto solo pensando che, quando non sono in sella, sarei felice di poter essere più "neutro" possibile.

E scrivo neutro per evitare di dire naturale, coerente, etologico, etc.
Tu sarai pure Bob Loomis ma io non sono nato ieri

Falsum saepe vero suavius est