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Un Ufficiale di cavalleria. Capitolo III

Aperto da raffaele de martinis, Dicembre 13, 2012, 01:02:58 AM

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raffaele de martinis

CAPITOLO III

Consigli ai i miei nipoti – La mia infanzia – La nonna – Ricordi del nonno – Mia madre: la  mia prima maestra di Equitazione – Il mio approccio al collegio. – Il signor Cobus - Gellenoncourt – I parenti – Il mio amore per i cavalli – La mia prima cavalcatura – Il comandante Dupuis –  "Cosaque" – Il collegio di Nancy.

Cari nipoti, tralascio i  miei ricordi di guerra - molto simili a quelli di mio padre - per raccontare  della mia infanzia, della mia gioventù, della mia carriera.

La mia carriera, come spesso accade, ha seguito la trama disegnata dal destino, e sono convinto di aver fatto soltanto del mio meglio per assecondare quel disegno. Nota 1)

Nell'esercito chiunque può farsi una reputazione più o meno grande a seconda del grado ricoperto;  comunque - miei cari - per conquistarla dovrete contare sulla vostra serietà, sul vostro senso del dovere e sui vostri meriti, cioè su qualità che potete governare voi stessi; mentre  la rapidità della carriera  dipende in gran parte da fattori imponderabili, come la fortuna e le circostanze favorevoli.

Impegnatevi a raggiungere i vostri obbiettivi grazie ai  meriti personali piuttosto che alle raccomandazioni : così sarete indipendenti, fieri di voi stessi e preparati contro gli eventuali fallimenti.
Ho destinato a ciascuno di voi un anello con inciso questo motto:  "Fai quel che devi, accada  quel che deve accadere."...ricordatelo!

Dei miei nonni, posso dire di aver veramente conosciuto soltanto la nonna materna, poiché gli altri erano già scomparsi prima della mia nascita o poco dopo: lei  è stata anche la mia madrina ed è mancata quando ero ufficiale.

Ho avuto per quella donna un affetto profondo unito ad ammirazione e rispetto...ma confesso che mi incuteva anche un po' di soggezione, a causa del  suo carattere fermo ed  altero.

Ricordo una sua frase che la ritrae in maniera esemplare:  un giorno, mentre mia madre - che era la tenerezza in persona - mi accarezzava amorosamente,   la nonna -  che ignorava completamente le affettuosità -  le disse: "Invece di vezzeggiare i vostri figli, impegnatevi a rafforzare il loro carattere...nella vita ci vorrà più coraggio che tenerezza." Nota 2)

Da queste parole, si capisce qual'era il carattere della vostra bisnonna; la sua morale severa e intransigente era lontana da ogni compromesso, più di una volta la sentii dire:   "Ricordatevi che in tutto quello che vi lascerò,  non ci sarà un centimetro quadrato di terreno che provenga dai beni della Chiesa o da quelli della nobiltà in esilio !" Nota 3)

Quando era in "vena di ricordi", mi parlava del nonno e della Gendarmeria Rossa...mi pare di vederla ancora, seduta sulla sedia dallo schienale dritto al quale non  si appoggiava mai, con addosso il solito vestito color delle foglie morte, molto semplice e dal taglio fuori moda.  Credo si chiamasse  "abito principessa":  era aperto davanti e lasciava intravedere  una balza di pizzo, fissata da una spilla con  brillante che mi piaceva molto. Ogni cosa, dalla sua acconciatura  alla sua maniera di parlare, era molto particolare e le dava uno stile che non ho mai più ritrovato in alcuna donna della sua età. Nota 4)

Coltivava un fervente ricordo del marito morto qualche mese prima che io nascessi: la stanza dove si era spento era rimasta tale e quale e la nonna la teneva sempre chiusa a chiave.

Quella camera  rappresentava per me una specie di santuario , ancora oggi potrei descriverla nei minimi dettagli...alla parete di fondo c'era un grande armadio nero, dove erano custodite le armi e le vecchie uniformi da "gendarme rosso" del nonno; era per me una   gran gioia  tirar fuori le armi da quel ripostiglio e portarle nella stanza accanto...non ebbi mai il permesso - che d'altronde non  pensavo neppure di chiedere - di maneggiarle in quella  stessa stanza.
Le sistemavo per bene, le toccavo e le ammiravo a mio piacimento; osai persino indossare la sua spada da gendarme : ho detto, "osai", perché non fu senza trepidazione che lo feci la prima volta, sotto lo sguardo severo della vedova del "Gendarme Rosso".   

La bardatura usata dal signor d'Alancourt fino ai suoi ultimi giorni era stata conservata con grande cura:  si trattava di una sella alla francese di velluto rosso - allora la sella inglese Nota 5), non era ancora stata adottata dall'esercito - e di una briglia decorata con borchie e fibbie d'argento;  il morso - secondo la moda del tempo - era anch'esso placcato d'argento. Tutto ciò suscitava la mia meraviglia, trattandosi effettivamente di uno splendido corredo. Naturalmente le mie bardature odierne non potrebbero reggere il confronto con quella.

Tornando a mio nonno, ricordo una sua cavalla: Sophie , che - giovanissima - aveva partorito un puledro che tenemmo e  che per noi rimase sempre "il Puledro"...quattordici anni dopo ho sentito   il nostro domestico chiedere ancora:  « Devo sellare la cavalla o il "Puledro" ?"

Mia madre montava davvero molto bene:  il nonno le aveva fatto da maestro e penso che il "puledro di 14 anni" sia stato la sua prima cavalcatura ; dunque, fu del tutto naturale che ella fosse la mia prima insegnante di equitazione e i suoi consigli guidarono le mie prime esperienze in sella.

Sono stato uno studente mediocre...durante il primo anno: pessimo.
I miei insegnanti mi chiamavano "somaro";  uno di loro, senza dubbio a causa di uno "scherzo da prete" che gli avevo giocato, mi chiamava:  "pezzo di fango disseccato al sole della pigrizia", prevedendo/augurando perfino che sarei finito alla ghigliottina.

Non ho mai dimenticato quelle dure parole, anche se credo di non ricordare altro d'importante di lui.  Per quanto riguarda la sua profezia, spero vivamente che non si avveri.

Tuttavia in mezzo a tante lacune avevo un punto forte:  la ginnastica.
In quella eccellevo, non avevo rivali: il mio  bisogno di scaricare l'energia in eccesso era tale  che chiedevo - come premio a mio padre - il permesso di andare in legnaia a spaccar i tronchetti per la stufa. Nota 6)

Il signor Cobus, l'insegnante di disegno, era il solo che non mi desse addosso, mostrando di avere fiducia in me: apprezzava il  mio  carattere franco  e l'affetto, sconfinante nell'adorazione, che provavo per mia madre.

Ero avvilito, e il suo sostegno mi è stato davvero prezioso: gliene sarò sempre grato.

Ricordando quest'uomo così buono e altruista, mi rammarico del fatto che - benchè abbia dedicato tutta la sua vita e il suo impegno all'istruzione di giovani provenienti da famiglie poco abbienti - la comunità cittadina non l'abbia ricordato intitolandogli almeno una strada.

Ogni anno, per le vacanze, andavamo al Castello di Gellenoncourt, che si trova a breve distanza da Luneville.

Vi abitava il signor de Gisancourt , amico di mio padre :  durante la Restaurazione  avevano militato insieme nel 5° Corazzieri. 
Le due settimane che passavamo a Gellenoncourt erano per me il momento più bello delle vacanze.

Dolcezza, bontà e dedizione...questa era mia madre:  aveva ereditato tali  qualità dal  padre , del quale conservava un caro ricordo. Quante volte me lo ha descritto !! Attribuiva - povera donna - alla sua protezione ultraterrena i successi che ho avuto in seguito. Nota 7)

Mio padre era molto severo, ma il suo rigore era giustificato dal fatto che ero piuttosto biricchino...lo ricordo affettuosamente e con profondo rispetto.

A volte, per i giovani, alcuni eventi  - di per sè insignificanti - hanno una grande influenza sulla loro formazione, soprattutto quando si verificano nel momento giusto, con le persone giuste; ecco un esempio.

Un giorno mio padre era a pranzo con uno dei suoi ex commilitoni del 5° Corazzieri:  se non erro, si trattava del signor Bisot, allora colonnello di un reggimento di lancieri.
Durante il pranzo un sottufficiale, che mostrava due o tre galloni, portò una busta al colonnello. 

Andato via, il colonnello disse che  quel "piantone" Nota 8) era il figlio di uno dei loro ex compagni d'arme, del quale ora non ricordo il nome,   e che, nonostante il suo influente appoggio, non era stato in grado di andar oltre quella modesta mansione.

Io avevo guardato con attenzione il sottufficiale e mio padre, che probabilmente l'aveva notato, la sera mi disse:   "hai sentito cosa   ha detto il Colonnello stamattina,  riguardo a quel sottufficiale?  Bene! sarei molto disilluso se un giorno tu ti trovassi in quella medesima condizione."

Non risposi, ma quelle parole lasciarono in me una così profonda  impressione, che da quel momento cambiai profondamente e iniziai ad impegnarmi nello studio...forse anche perché quelle frasi furono dette quando "i tempi erano maturi".

D'altronde , ero entrato in collegio in compagnia della mia più grande   passione, l'amore per i cavalli :  nella mia cartella scolastica avreste trovato, accanto ai  libri di testo , un volume  di Bourgelat e uno di La Guérinière ; provenivano dalla  biblioteca di mio padre e  mi interessavano molto più delle discipline scolastiche.

Con l' insistenza tipica dei bambini,  chiedevo al signor Cobus - il mio maestro di disegno - di farmi disegnare cavalli  quando ancora avevo problemi a disegnare soggetti ben più semplici da riprodurre,  come un naso o un occhio .

Infine, stanco delle mie richieste e pensando che avrei rinunciato di fronte alla difficoltà, il signor Cobus mi dette uno scheletro di cavallo da copiare.
Quale fu il suo stupore quando io - che tante volte ero rimasto quasi muto alle sue interrogazioni -  riprodussi ed elencai minuziosamente  tutte le ossa di quello  scheletro! Lo lasciai di stucco.

Fin dalla prima infanzia, qualunque gioco stessi facendo, se sentivo passare un cavallo per la strada, correvo alla finestra  per guardarlo, nulla poteva impedirmelo.

Quando mio padre lasciò il servizio, tenne  per sé una giumenta molto bella, che tuttora potrei descrivere con estrema precisione.

Era una saura dorata, chiamata Cocotte , da qualche parte conservo ancora  i suoi crini :  con lei ho fatto le prime esperienze a cavallo.

Quando ero ancora molto piccolo, e mio padre era fuori con la cavalla, restavo ad attenderlo al portone d'ingresso ; non c'era gioco o distrazione che mi potesse spingere a lasciare il mio "posto di guardia": rimanevo là imperterito , di "sentinella", per poter salire in sella alla giumenta e percorrere quei quaranta o cinquanta passi che separavano il portone dalla scuderia.

Cocotte era molto docile,  me la lasciarono montare liberamente verso il mio tredicesimo anno d'età. Fu allora che mia madre – nei limiti del possibile – cominciò ad insegnarmi i primi  rudimenti di equitazione.

Ma il mio primo vero maestro fu il comandante Dupuis, dal quale cominciai a prendere vere e proprie lezioni quando avevo circa quindici anni.

Il padre del comandante Dupuis si era stabilito a Lisbona, pertanto il mio maestro aveva fatto il suo percorso formativo equestre presso le scuderie del re del Portogallo.

Durante le guerre nella penisola iberica, il giovane Dupuis rientrò nei nostri ranghi, e il Maresciallo Ney  lo prese nel suo Stato Maggiore.

Il comandante Dupuis mi raccontò che il  maresciallo Ney aveva un tic assai particolare: nel pieno della manovra, sputava all'improvviso senza curarsi di coloro che gli stavano attorno che  spesso venivano "innaffiati" senza pietà. Nota 9)

Tra gli altri, il comandante Dupuis mi raccontò un aneddoto che mi piace ricordare, eccolo:

in una piccola cittadina spagnola – della quale non ricordo il nome – l'allora sottotenente Dupuis ebbe per alloggio una stanza  requisita a tal scopo: dall'arredamento si capiva che era la camera di una ragazza.

Curiosando Dupuis  trovò, nascosto sotto a una tazza sulla mensola del caminetto, un nastrino di velluto con una piccola croce d'oro.

L'oggetto, che certamente apparteneva alla ragazza che occupava quella camera,  stuzzicò la sua fantasia a tal punto da fargli immaginare che la sua "coinquilina" fosse una  giovane bellissima.

Il giorno seguente, al momento della partenza, prese la crocetta come ricordo della immaginaria, stupenda fanciulla con la quale aveva "diviso" il letto.
Fatti alcuni chilometri Nota 10) fu preso dal rimorso e capì di essersi comportato da ladro.

Allora, incurante dei rischi che avrebbe corso tornando nella città dove le nostre truppe erano state forzosamente "ospitate", fece dietro front, raggiunse la casa dove aveva passato la notte, rimise la crocetta al suo posto e tornò nei ranghi.

Questa storia sarebbe sufficiente a dimostrare la grande signorilità del comandante Dupuis, ma ci saranno ancora altre occasioni per confermarlo.
Pur essendo io un ragazzo, mi partecipava i suoi ricordi di guerra delle campagne imperialistiche di Napoleone; mi affezionai a lui e lo ascoltavo con interesse : ero entusiasta di quei racconti, che  rafforzavano il mio già grande desiderio di indossare - un giorno - l'uniforme.
Però, il comandante Dupuis, aveva un difetto: era suscettibile come una zitella svizzera, fatto che fu causa di numerosi duelli, dei quali parlava volentieri.
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A volte mi si metteva davanti,  impugnando la sua sciabola curva da vecchio ussaro, che chiamava affettuosamente  "la mia zoppetta", Nota 11)    e diceva:  "guarda come tengo la sciabola: il tagliente deve essere rivolto verso l'alto, non a destra, perchè bisogna colpire di punta.
Al primo movimento del braccio del tuo avversario, affonda bene il colpo: può darsi che lui riesca a ferirti, ma tu lo prenderai in pieno petto".
Il comandante Parquin, nei suoi "Souveniers et Campagnes", parla di questa stessa presa della sciabola nei duelli: la descrive molto male, ma intende dire la stessa cosa che mi aveva raccontato Depuis.

La sua carriera fu stroncata da un avvenimento dovuto al suo "senso dell'onore", ma anche alla sua suscettibilità da gatto siamese.

All'epoca, lui era comandante di squadrone dell' 11° Dragoni a Luneville e,  in seguito a  problemi di servizio, si convinse che un capitano, di nome B. , avesse disatteso i suoi ordini : invece di punirlo come avrebbe meritato, gli chiese soddisfazione sul campo.

Il duello si svolse in due riprese e fu fatale.

Nella prima ripresa, il duello fu irregolare e il comandante Dupuis ricevette una stoccata al petto che gli procurò una forte emorragia  (aveva conservato la camicia zuppa di sangue e me la mostrò durante quel racconto) .   

Nella seconda ripresa, il capitano B...rimase sul terreno e il comandante Dupuis fu radiato dall'esercito.

Secondo lui,  una ragione politica  aveva giocato un ruolo determinante nel provocare  quel drastico provvedimento: si riferiva al  governo di Luglio allora in carica.
Esibire la croce di San Luigi non era proibito, ma tutti sapevano  quanto  fosse sgradito al nuovo regime, che vedeva in tale gesto la   manifestazione di un' opinione politica favorevole al governo deposto: inutile dire che il comandante Dupuis non si era conformato ai "gradimenti"  governativi.Nota 12)

Quella decorazione era esclusivamente militare, proibirla non avrebbe trovato giustificazione ne' nella ragione, ne' nella giustizia; ma , di fatto , portarla per alcuni, era un crimine...il comandante Dupuis, di costoro se ne stracatafotteva e continuò a portare la sua croce di cavaliere di San Luigi con orgoglio e con onore.

Non so se fosse a causa della sua carriera bruscamente interrotta, o per qualche altro motivo, il comandante Dupuis - che era celibe - viveva nella più grande solitudine, ed era fortemente depresso, tant'è che una volta lo sentii esclamare:  "Tutto ciò che oggi desidero, è un campo di battaglia ed una pallottola in fronte".

Mi son soffermato a lungo sul Comandante Dupuis  non solo perché è stato il mio primo maestro di equitazione, ma soprattutto perché la sua personalità ebbe su di me una grande influenza.

Quando lo conobbi, ero appena uscito dall'infanzia, ed ero nell'età in cui si consolidano le relazioni:  il mio affetto per lui è rimasto intatto nel tempo e ho conservato per sempre un bel ricordo di questa persona valente e generosa.

L'insegnamento del comandante Dupuis non è solo nei miei ricordi : ne troverete  traccia nelle carpette, dove sono conservate le mie annotazioni sull'equitazione; sono fogli staccati dal diario che tenevo sulle sue lezioni.
Senza dubbio queste pagine saranno di scarso interesse per voi, ma raccontano il tempo dei miei primi passi nel mondo di un'arte Nota 13) alla quale ho dedicato: nella pratica , negli scritti e nelle meditazioni , una grande parte della mia vita.
Durante le sue lezioni, mi faceva montare diversi cavalli: d'altronde  "Cocotte", la mia prima cavalla della quale vi ho già parlato, era invecchiata, e una volta coricata faticava a tirarsi in piedi ;  non mangiava altro che pane ed avena macinata, e solo grazie a questi accorgimenti visse con noi ancora a lungo, Nota 14) ma non era più in grado di svolgere alcun servizio.

Caid e Daguet furono i due cavalli, che le succedettero nella scuderia di mio padre. Li montavo entrambi, ma non erano adattissimi alla sella, Nota 15) così mia nonna mi dette una delle più grandi gioie della mia vita: fece portare, da uno dei suoi fattori, un cavallino, che rimase a mia completa disposizione durante le vacanze dopo il mio ultimo anno di  collegio a Luneville.

Lo battezzai "Cosaque", e per la verità, faceva onore al suo nome.
Aveva tutte le caratteristiche della vecchia razza dei cavallini di Lorena, sobri e resistenti, che ricordavano ancora i loro lontani antenati, importati  dalla Polonia e dall'Ucraina  dal re Stanislao, al fine di migliorare la popolazione indigena.

Andavo anche in velocipede: era molto pesante, a due ruote;  per mandarlo avanti , i piedi alternativamente toccavano terra e spingevano.  Risaliva ai tempi in cui mio padre era un ragazzo: tra quell'aggeggio e le biciclette di oggi vi è la stessa differenza che passa tra una diligenza e una locomotiva...se lo ritrovassi, troverebbe un degno posto nel "museo archeologico".



Vi ho già detto di essere stato un pessimo studente durante i primi anni di collegio; tuttavia migliorai un poco nell' ultimo anno passato a Luneville e l'anno seguente, quando fui mandato al collegio di Nancy, mi misi a studiare con un impegno pari a quello che mettevo nella ginnastica...avevo capito che tutto era cambiato.

Il mio tutore, consigliere di corte ed ex presidente del tribunale di Luneville, mi lasciava uscire molto di rado, ma non me ne lamentavo: anzi, nei giorni liberi rinunciavo anche alle passeggiate per continuare a studiare, dopodiché fui ammesso alla scuola militare di Saint-Cyr, con il numero 35.
Nella graduatoria di accesso figuravano circa trecento nomi:  da ciò si capisce quanto abbia dovuto lavorare e quanto mi sia impegnato quell'anno; avevo tante cose da imparare, e molto tempo perso da recuperare.

Nota 1) Da queste parole - come da tanti altri atteggiamenti -  si intuisce che il nostro, nonostante avesse raggiunto i massimi vertici militari, e, con il suo potere, il suo carisma e la sua competenza avesse avuto una determinante influenza sull'equitazione militare francese, conservò sempre la semplicità, la sobrietà e la modestia frutto probabilmente della sua prima educazione.
Nota 2) Ho usato il voi anzichè il Lei - come sarebbe giusto - per contestualizzare il tempo e l'ambiente. Inoltre tenete a mente queste tre figure: - madre dolce e delicata - nonna burbera quasi brutale - padre assente a fare il guerriero.
Nota 3) Probabilmente la nonna si riferiva al frutto di espropriazioni fatte da Napoleone o da chi per lui e acquistate/rubate dagli appartenenti la "casta politica/militare" d'allora.
Nota 4) Sembra che il Generale, sia stato fortemente influenzato dalla personalità e dal carattere della nonna, dal quale deriva certamente il suo caratteraccio...
Nota 5) ...praticamente un "piantone", cioè un militare assegnato a servizi marginali, con scarse competenze e ancor minori capacità di comando e di iniziativa.   
Nota 6) Ginnastica, scherma, spaccalegna il ragazzo si spendeva in attività fisiche, probabilmente doveva contenere/scaricare delle pulsioni, forse omosessuali.
Nota 7) Queste sono - in tutta la sua autobiografia le sole parole affettuose rivolte ad una donna; ci sono tre donne citate: la nonna, la mamma, la zia.
Nota 8)  ...un "piantone", cioè un militare assegnato a servizi marginali, con scarse competenze e ancor minori capacità di comando e di iniziativa.   
Nota 9) Ney, durante la battaglia di Waterloo, in nove ore di cariche contro la fucileria nemica, si "mangiò" 5 cavalli che gli creparono sotto, perse quasi tutti gli uomini del suo reggimento, più volte ferito, non riuscì a morire con la spada in pugno...certamente consumò tutta la saliva che aveva in bocca (sic!).
Nota 10) In realtà, l'autore parla di "leghe", in effetti le misure metrico decimali non erano ancora usate, sarà la Francia di Luigi Filippo a rendere obbligatorio il sistema metrico nel 1840. In Italia venne introdotto nel Regno di Sardegna nel 1850 e divenne legge dello Stato unitario nel 1863.
Nota 11) "Bancal", vuol dire "storto"-"curvo"-"zoppicante"-"zoppo"-"acciaccato", dato che il termine è usato come sostantivo descrittivo e "affettuoso" abbiamo usato il sinonimo che ci sembrava più fantasioso e confidenziale: zoppa, ma andrebbe benissmo: gobba, gobbetta, stortarella.
Nota 12) Siamo nel periodo detto della "monarchie de Juillet (1830-1848) periodo di transizione che segue la restaurazione e precede la nascita della "Seconde République"
Nota 13) Il Generale, riferendosi all'Equitazione, la chiama sempre "arte", noi useremo - a seconda delle circostanze - "mestiere", "pratica", lavoro ecc.
Nota 14) Anche allora, i cavalli - in certe circostanze - erano considerati delle "persone di famiglia", e i nostri avi si preoccupavano del loro "benessere" anche se non erano più di utilità pratica.
Nota 15) Probabilmente erano dei carrozzieri.



... "il culo nella carriola e le gambe avanti"...